Poeta al comando by Alessandro Barbero

Poeta al comando by Alessandro Barbero

autore:Alessandro Barbero [Barbero, Alessandro]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788838943010
Google: JyEhzwEACAAJ
editore: Sellerio
pubblicato: 2022-08-15T08:12:38+00:00


8

I divoratori di carne cruda

Quella notte, Gabriele si rinserrò nel suo studio insieme a Faussone, e non ne uscì che all’alba.

«Veramente» disse «io ho veduto e sentito quel che non pareva possibile, che non pareva credibile. Certo, negli anni della guerra giungevano voci. E i serbi, allora, erano nostri alleati! Pure si risapeva com’essi mozzavano le orecchie, strappavano gli occhi e la lingua ai prigionieri. Ma questo passa ogni infamia».

Faussone, che pure lo ascoltava serio, a quel cenno d’orecchie mozzate ebbe un barlume di sorriso, che non sfuggì al Comandante.

«Già! Lo so che anche voi arditi, qualche volta... Ma io ho sempre saputo d’orecchie mozzate ai cadaveri, non ai vivi».

L’altro ebbe un gesto di ribrezzo.

«Eh, crispa! Ne ho tagliate anch’io, orecchie tedesche e orecchie ungheresi; ma ai morti, si capisce».

«E loro» lo stuzzicò Gabriele «hanno cercato di cavarti gli occhi?».

Faussone si sfiorò col dito la palpebra tagliata, con una delicatezza femminea, impensabile in un marcantonio come quello.

«A dire la verità, è stato uno dei nostri, all’osteria. Con un collo di bottiglia. Dieci giorni di rigore!» sorrise nel ricordo.

Gabriele si strinse nelle spalle, una cicatrice così poco eroica non gl’interessava già più.

«Basta!» ripigliò. «Ora tu m’hai inteso. Bisogna, capisci, bisogna che quel ch’è accaduto non resti impunito. E certo noi non passeremo la pratica alla Questura o ai carabinieri, come scritturali intenti solo a sfuggire i fastidi. No: è a noi che tocca. A te e ai tuoi compagni, che ieri avete veduto e udito. Io ho piena fiducia in te. Interrogate il miserabile, estorcetegli i nomi, i covi degli altri aguzzini. Li voglio tutti».

Faussone annuì, serio. Aveva capito benissimo. Io, invece, quando Gabriele mi spiegò questa sua intenzione di farsi poliziotto restai a bocca aperta: era l’ultimo mestiere in cui mi sarei figurato di vederlo debuttare. Mi sbagliavo, come si vedrà. Ma che avesse già precisamente in mente quel che sarebbe successo, questo no, non riesco a crederlo: non era da lui; non l’avevo mai veduto darsi pena delle conseguenze, meno che mai a così vaga scadenza.

Per qualche giorno, del resto, nessuno fece più cenno a quella notte memorabile; né la situazione politica, che andava precipitando dopo la firma degli accordi di Rapallo, ci avrebbe permesso di distrarre tempo ed energie. Si aspettava da un giorno all’altro un passo senza ritorno del governo italiano: e infine giunse, portato da due ufficiali, sul dopopranzo d’un venerdì di dicembre.

Manco a farlo apposta, era venerdì 17. Gabriele mi aveva annunziato il dì precedente la sua intenzione profilattica «di astenermi da ogni parola e da ogni atto. Rimarrò immobile dinanzi alla faccia della calendària medusa». Invece dovette riceverli, facendo le corna nella tasca. Era persuaso che l’avesse fatto apposta, il Caviglia, a mandarglieli in quel giorno; o magari l’aveva macchinato lo stesso Giolitti, dal suo covo romano. I due, un maggiore e un capitano, arrivarono in macchina, preceduti da uno scambio di telefonate compunte: come se la nostra segreteria fosse quella del Vaticano, e loro due monsignori in visita. A vederli, poi, parevano due ecclesiastici per davvero: un grasso parroco di campagna e il suo accolito.



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